La recente ordinanza n. 326/2025 della Corte Suprema di Cassazione, Sez. Tributaria, ha ribadito un principio fondamentale in materia di società di persone e responsabilità fiscale dei soci.
Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha stabilito che la cessione di una quota in una società in nome collettivo non è opponibile all’Agenzia delle Entrate se non viene formalmente iscritta nel Registro delle Imprese, con la conseguenza che il socio cedente continua a rispondere fiscalmente per i redditi prodotti dalla società anche dopo la sua uscita di fatto dalla compagine sociale.
L’Agenzia delle Entrate aveva notificato al contribuente due avvisi di accertamento per il recupero di maggior reddito ai fini IRPEF per gli anni 2006 e 2007, in quanto socio al 50% di una società in nome collettivo. L’accertamento era scaturito dalla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte della società e dall’emersione di irregolarità contabili.
Il contribuente aveva impugnato gli atti impositivi sostenendo di essere uscito dalla società nel 2003, pur senza aver formalizzato la cessione della propria quota nel Registro delle Imprese. Secondo la sua difesa:
• l’uscita dalla società era effettiva e reale e la quota era stata ceduta di fatto all’altro socio;
• aveva comunicato alla Camera di Commercio la cessazione della sua attività lavorativa nel 2004, dopo aver subito un grave infortunio;
• non aveva percepito alcun reddito dalla società negli anni oggetto di accertamento.
La Commissione Tributaria Provinciale di Treviso aveva accolto il ricorso, ritenendo provata l’uscita di fatto del contribuente dalla compagine sociale.
L’Agenzia delle Entrate aveva impugnato la decisione in Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sostenendo che:
• In assenza di una cessione formalmente iscritta nel Registro delle Imprese, il contribuente doveva essere considerato ancora socio della s.n.c..
• Il contribuente risultava ancora iscritto nei libri sociali della società.
• La comunicazione alla Camera di Commercio non era sufficiente a dimostrare l’effettiva uscita dal rapporto sociale ai fini fiscali.
La CTR aveva comunque confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che il contribuente avesse effettivamente cessato ogni attività nella società, pur senza aver formalizzato l’operazione.
La Corte Suprema di Cassazione ha affermato, invece, che la cessione della quota di una s.n.c. non è opponibile al fisco se non è iscritta nel Registro delle Imprese, a meno che il socio dimostri che l’Amministrazione Finanziaria ne fosse comunque a conoscenza.
Nello specifico, era risultato che il contribuente:
✔️ non aveva mai formalizzato la cessione della quota nei modi previsti dalla legge.
✔️ non aveva fornito prova che l’Agenzia delle Entrate fosse stata messa a conoscenza della sua uscita dalla società.
✔️ continuava a risultare nei libri sociali della società, il che confermava il suo status di socio agli occhi del fisco.
Di conseguenza, il contribuente è stato ritenuto fiscalmente responsabile per il maggior reddito accertato in capo alla s.n.c., con conseguente obbligo di pagamento delle imposte.
Questa pronuncia rafforza la necessità di formalizzare correttamente qualsiasi operazione di cessione di quote sociali, per evitare di incorrere in responsabilità sia tributarie sia patrimoniali.
Conclusione
L’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 326/2025 stabilisce un principio chiave per le società in nome collettivo: il socio che esce dalla società è ancora responsabile delle imposte se la cessione della quota non viene formalmente iscritta nel Registro delle Imprese.